Vorrei che morissi d’arte, è insieme un augurio e una minaccia, una visione personale della contemporaneità, tra scacchisti e potenti, pazzi, girovaghi e sentimenti puri. Se il tutto partiva da una visione disastrosa del presente l’approdo finale è nella possibilità di vivere diversamente, di scegliere un’alternativa.
Sono storie semplici, senza retorica o eccessive costruzioni, tasselli che, insieme, letti specularmente nell’ordine, formano il quadro generale.
Questo album segna una maturità e un cambiamento nello stile di Mico Argirò, nella cura dell’insieme testo-musica, del rapporto tra l’artista e il mondo che lo circonda.
Si tratta di un disco interessante che apre a nuove contaminazioni di genere e si mantiene su una predominanza del concetto, del testo, della storia e, soprattutto, dell’emozione.