Il 9 febbraio è stato pubblicato “Psychotrip”, disco solista del chitarrista/cantante italiano, di origini umbre, Cesare Verdacchi.
Coadiuvato da due veterani della scena rock italiana, Andrea Castelli al basso e Marco Pisaneschi alla batteria, l’album si compone di 10 tracce tutte suonate nella classica forma del “power-trio” e dannatamente efficaci nel restituire all’ascoltatore una carica rock che non viene mai meno, attraverso canzoni tiratissime che si alternano a brani più tranquilli ma sempre con una grande attenzione alla melodia. Un viaggio musicale a tutto rock, come si evince anche dalla stupenda copertina dell’album realizzata dall’artista Tiziana Battista che ci mostra il trio a bordo di una cabriolet in viaggio in un paesaggio Psichedelico/surreale (davvero belle le caricature dei musicisti). Registrato fra la Toscana (Virus Studio di Monteriggioni) e il Lazio (Trick Studio di Roma).

Si parte dalla title-track, “Psychotrip” (scelta come primo singolo e videoclip, girato dall’abile regista Gianni Leacche) dominata da un riffing assai incisivo e da una sezione ritmica roboante sulla quale si innestano egregiamente la potente voce di Cesare (dotata peraltro di notevole estensione) e la sua chitarra che, a metà brano, esplode in assolo al fulmicotone. Si procede con “Ball and Chain”, introdotta da un super sincopato giro di basso e dal riff micidiale, che si apre poi in uno splendido ritornello, seguito da un assolo molto tecnico e decisamente anni ’80. “Free Man” rallenta la velocità e si presenta come il pezzo più epicheggiante ed a tratti quasi stoner, con un assolo molto sabbathiano. Segue la splendida ballata “Fall” dalle atmosfere suggestive ed evocative, caratterizzata da una prima parte, dolce ed acustica, che esplode poi in un ritornello assai melodico e in un bellissimo assolo super ispirato. Canzone che mette in mostra anche le ottime doti di scrittura di Cesare (autore di tutti i testi) e la notevole abilità e buon gusto della sezione ritmica, brava a muoversi anche in contesti più slow. “C.T.H.R.” è un brano che parte a mille all’ora, per poi sorprendere con un break improvviso che immette in una sezione molto più lenta ma sempre dannatamente efficace. Un brano assai Black Label Society se vogliamo, come conferma l’assolo di chitarra alla “Zakk Wylde”. Con “The Legacy” (molto ispirato il testo) le atmosfere si mantengono sempre rocciose ma c’è anche spazio per una forte componente ipnotica data soprattutto dall’arpeggio iniziale e dal riff portante, circolare, ossessivo. Notevole anche qui il lavoro della sezione ritmica, assai compatta e perfetta nell’assecondare il lavoro del cantante/chitarrista. “Man of the Moon”, con il testo che parla di un licantropo, è il brano più tecnico del disco, caratterizzato da continui cambi di tempo e di ritmo, con una parte centrale al fulmicotone che mostra l’eccellente coesione dei tre musicisti della band. “Dance of death” ci porta invece, sin dall’intro voce/chitarra, ad atmosfere più blueseggianti, quasi southern. Un pezzo molto divertente. Efficacissimo lo stop and go a metà brano che introduce il bell’assolo di chitarra. “Deads arise”, il più heavy metal (nel senso più classico del termine) dei brani è una cavalcata caratterizzata da uno splendido (e complesso) riff iniziale. Molto suggestiva l’apertura del ritornello su di un coro che entra subito in testa e non ti molla più (ma questo può dirsi di tutti i brani del disco ad onor del vero). Il lavoro si chiude con la “zeppeliniana” power ballad “End of the world”, caratterizzata da continui cambi di atmosfera, molto di classe e che si chiude con un poderoso sovracuto del cantante. In mezzo, tanta sostanza, con un riff splendido ed un assolo alla Slash/Jimmy Page davvero ben eseguito.
In conclusione un disco di classe, a tutto rock and roll, composto da 10 brani decisamente ispirati e suonato da tre esperti musicisti davvero abili e coesi, una band in grande forma e dotata di eccellente intesa. Un songwriting efficace e brani che ti entrano subito in testa confezionano un lavoro d’esordio davvero maturo.