Carlo Addaris gioca un campionato tutto suo.
Artista, polistrumentista con alle spalle anni di attività nel sottobosco della musica indipendente, arriva al terzo lavoro solista con l’album Mondi. Un disco che l’autore ha interamente suonato nonché registrato e mixato, carico di idee e contaminazioni, e che somiglia ad un bignami della musica d’autore, costellato di citazioni e influenze. Bastano il sequencer sbilenco e il muro di chitarre di Combatti, prima traccia dal ritornello strascicato ma cantabile, e le aperture dal forte potere emozionale del secondo brano Sono qui, a far capire che il disco sarà un viaggio che spettina ma allo stesso tempo culla l’ascoltatore.

Dai richiami alle atmosfere algide dei Radiohead nella strofa di Quello che resta ai toni scuri e crepuscolari di Zapping Vanity (il primo singolo estratto, figlio della tradizione nostrana dei primi anni ’90), passando per i synth e i campioni di Satellite con il solo di “gabbiani urlanti” che richiama i Chemical Brothers che a loro volta citavano i Beatles di Tomorrow never comes.
L’autore canta di nuovi universi da esplorare per cullare l’illusione di una fuga dalla quotidianità, raccontata per contro nei versi che parlano di abusi, limiti e paure del nostro vivere, terminando il suo “dipinto” con i versi definitivi del brano di chiusura, “la vita arriva sempre quando meno te l’aspetti”. Perfetto.